Aistide Serra. La presenza e la funzione della Madre del Messia nell'Antico Testamento


INTRODUZIONE

Maria nell’Antico Testamento: è legittima la domanda? In
risposta, ci affideremo agli autori del Nuovo Testamento, segnatamente i Vangeli, per chiedere loro: avete intravisto la figura di Maria di Nazaret nei Libri Sacri dell’Antica Alleanza?
Questa domanda ne presuppone un’altra, vale a dire: in
che modo gli autori del Nuovo Testamento hanno scrutato la
persona e la missione di Cristo nelle Scritture del Primo
Patto? Vediamo, allora, di abbozzare una riposta previa a questo duplice quesito, riguardante la presenza di Gesù e di
Maria sua Madre nell’economia preparatoria dell’Antico Testamento.
1. Gesù. Gli autori dei libri del Nuovo Testamento, con
attenzione privilegiata ai quattro vangeli, sono stati i primi
esegeti della persona e dell’opera di Cristo Gesù, Messia Salvatore. Partendo dalla massima rivelazione dell’evento pasquale, essi ritornarono sulle parole e sui fatti riguardanti
Gesù di Nazaret. Per comprendere l’identità profonda del
Maestro, Incarnato, Crocifisso e Risorto, gli scrittori del
Nuovo Testamento fecero ricorso anche alle Scritture dell’Antica Alleanza. La stessa cosa aveva fatto Gesù Risorto quando,
ponendosi al fianco dei due discepoli di Emmaus,
« ... cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che˙ si riferiva a lui» (Lc 24,27).
E altrettanto egli fece apparendo a tutti i discepoli riuniti
a Gerusalemme, e dicendo loro:

«“Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con
voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me
nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro
la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,44-45).
Analoga metodologia adotterà il diacono Filippo il giorno in cui, incontrato il funzionario della regina Candace
sulla strada che scendeva da Gerusalemme a Gaza, annunziò
a lui la buona novella di Gesù, partendo dal noto passo di
Isaia 53,7-8 (At 8,26-36).
2. Maria, madre di Gesù. In stretta connessione con la
persona del Risorto, la chiesa cristiana delle origini cominciò
a interrogarsi anche su Maria di Nazaret, la Madre del
Signore, ancora vivente nella comunità di Gerusalemme (At
1,14). Anche la questione mariana erompeva così dalla
Pasqua come dal suo epicentro.
Il ruolo e l’identità di questa Sorella fu ripensato e compreso a partire dalle stesse Scritture della Prima Alleanza.
Percorrendo gli scritti canonici dell’Alleanza Nuova, si
deduce che la presenza e la funzione di Maria nell’economia
del Primo Patto fu intuita secondo approcci plurimi, tutti
avvolti nel chiaroscuro della preparazione profetica. Si
avvertì, insomma, che allo scoccare della pienezza dei tempi
(Gal 4,4), nella persona della Donna-Madre di Gesù confluirono diverse istanze connesse all’Alleanza Antica.
Recentemente ho pubblicato un volume, intitolato La
Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di Maria nell’Antico
Testamento (Edizioni Messaggero, Padova 2006, 376 pagine). In quest’opera ho cercato di proporre nove percorsi o
temi che partono dal Primo Testamento per immettersi poi
anche nel mistero della madre di Gesù. Gli argomenti ivi sviluppati – lo ripeto – prendono tutti l’avvio dal Nuovo Testamento. Essi riguardano: le madri d’Israele, il monte Sinai, la
città di Gerusalemme, le tre profezie sulla donna-madre del
Messia (Gen 3,15; Is 7,14; Mi 5,2), infine la Sapienza. Chi
volesse approfondire l’argomento, potrà consultare queste
pagine. Per il nostro convegno ho pensato di offrire un sag-

gio introduttivo, attinente a due dei temi suelencati: Miryam
e Rizpà, due fra le madri di Israele, e il Monte Sinai in rapporto a Maria.
Il metodo usato non è di pacifico possesso fra gli studiosi
stessi. Tuttavia potrebbe metterci in grado di individuare la
strada per proseguire il cammino.


MIRYAM E RIZPÀ,
DUE FRA LE “MADRI D’ISRAELE”

Una celebre sezione del libro dell’Ecclesiastico o Siracide
(44,1-50,21) fa memoria dei personaggi illustri della storia
santa, da Enoch fino al sommo sacerdote Simone II (220-
195 a.C.). L’anamnesi inizia coi noti versetti: «Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione. Il Signore ha profuso in essi la gloria, la sua grandezza è
apparsa sin dall’inizio dei secoli» (vv. 1-2).
Strano, ma vero. In quel prolungato memoriale, nessuna
donna compare! Invece a partire dal secolo I a.C. in poi
prende sviluppo la memoria delle “Madri” d’Israele, congiuntamente a quella dei “Padri” del popolo eletto.
(MUÑOZ LEÓN D., La memoria de los «Padres» y de las «Madres» en
el Judaismo de los siglos II a.C.-II d.C., in AA. VV., Maria e il Dio dei nostri
Padri, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo. Atti del XII Simposio Internazionale Mariologico (Roma, 5-8 ottobre 1999), a cura di E.M. Toniolo. Edizioni Marianum, Roma 2001, pp. 99-153).
L’evangelista Matteo, tessendo la genealogia di Gesù, stenderà poi
una densa lista dei Patriarchi che da Abramo arrivano a Cristo (Mt 1,1-17). In quella fitta serie di nomi egli include cinque donne: Tamar (v. 3); Racab (v. 5a); Rut (v. 5b); la moglie
di Uria, cioè Betsabea (v. 6b); Maria, sposa di Giuseppe,
dalla quale nacque Gesù (v. 16).
I commenti al vangelo di Matteo accennano ai probabili
motivi per cui l’evangelista abbia scelto Tamar, Racab, Rut e
Betsabea a preferenza di altre figure femminili più conosciute,

come Sara, Rebecca, Rachele ... Per ora ci limitiamo a rilevare
un fatto. L’evangelista introduce Maria, “madre” del Messia,
in linea di continuità con altre quattro “madri” del popolo
eletto. Pertanto offre a noi un suggerimento di metodo, assai
prezioso. Vale a dire: la persona di Maria, “madre” di Gesù, va
compresa in stretta comunione con le altre “madri” (o “matriarche”) d’Israele. Il fondamento biblico per tale approccio risiede appunto in Matteo 1,1-17 (segnatamente i vv. 3.5.6.16).
Secondo la dottrina del giudaismo pre e post-cristiano,
Israele ha tre padri: Abramo, Isacco e Giacobbe. Inoltre, ha
quattro madri: Sara-Rebecca-Rachele-Lia; oppure sei, perché alcuni elenchi aggiungono i nomi delle due concubine di
Giacobbe: Bila (serva di Rachele, madre di Dan e Neftali) e
Zilpa (schiava di Lia, madre di Gad e Aser).
Oltre a Sara, Rebecca, Rachele, Lia, Bila e Zilpa, le fonti
giudaiche riconoscono la prerogativa di “madri d’Israele” ad
alcune altre donne, che hanno avuto singolare rilevanza nella
storia del popolo eletto. Tali sono, per esempio: Tamar,
Yokebed madre di Mosè, Debora, Rut, Anna madre di
Samuele, la madre dei sette fratelli maccabei ... Anche Eva è
annoverata fra le “madri”, assieme a Sara, Rebecca e Lia. In
un certo senso, ella è la prima delle “madri d’Israele”, tanto
amate e venerate da tutto il popolo eletto.
Ovviamente il titolo di padri e madri (oppure patriarchi e
matriarche) di Israele deriva dal fatto che loro sono i capostipiti del popolo eletto. Sono essi i “Padri” e le “Madri” per
eccellenza, specialmente Abramo e Sara.
Abbastanza di frequente, i Padri sono paragonati ai
monti, e le Madri alle colline. Le montagne e le colline suggeriscono l’idea di stabilità, di fondamenta solide. E così è: il
popolo d’Israele è fondato sulla roccia dei suoi Padri e delle
sue Madri, in grazia appunto dei meriti che gli uni e le altre

acquisirono con la loro vita santa. Commentando l’oracolo
di Balaam su Israele – trasmesso dal libro dei Numeri (23,9:
«Dalla cime delle rupi io lo vedo e dalle  alture lo contemplo») – un celebre passo rabbinico poneva in bocca al Signore questa confortante assicurazione a riguardo del popolo
eletto: «Io guardo le loro origini e il fondo delle loro radici.
Io li vedo stabiliti su basi solide, come di rocce e di colline, a
causa dei loro Padri e delle loro Madri».
(Le Pentateuque en cinq volumes, avec Targoum Onqelos, suivis des
Haphtarot, accompagné de Rachi, traduit en français par M.J. Bloch, M.I.
Salzer, M.E. Munk, E. Gugenheim, sous la direction de E. Munk. T. IV,
Les Nombres. Fondation Odette S. Levy, Paris 1968, p. 168.)
Frequentando l’antica letteratura giudaica, ho tratto la
seguente conclusione. Quando il giudaismo celebra le Madri
d’Israele, oppure Sion stessa in quanto Madre, prepara quasi
tutti gli aspetti che il cristianesimo applicherà poi a Maria,
Madre del Messia Gesù.
Mi limito in questa sede a due brevi saggi di questa persuasione. Come ho detto sopra, essi riguardano: Miryam,
sorella di Mosè, e Rizpà, concubina del re Saul.


MIRYAM, SORELLA DI MOSÈ


Miryam è una delle figure più care al popolo d’Israele.
Fin dai tempi prossimi all’era cristiana del Nuovo Testamento, la sua memoria è aureolata da tradizioni edificanti che ne
esaltano il ruolo di “eroina” in mezzo alla sua gente.
(Si veda il saggio breve, ma illuminante, di LE DÉAUT R., Miryam,
soeur de Moïse, et Marie, mère du Messie, in Biblica 45 (1964), pp. 198-
219. Le Déaut, a sua volta, ricorda l’eccellente articolo di ZORELL F.,
Maria, soror Mosis, et Maria, mater Dei, in Verbum Domini 6 (1926), pp.
257-263 (Zorell utilizzava solo i dati dell’Antico Testamento, mentre Le
Déaut valorizza soprattutto le tradizioni giudaiche antiche).
È probabile, anzi, che la Madre di Gesù fosse chiamata Miryam
dai suoi genitori, in ossequio affettuoso e devoto verso l’antica Miryam.

In particolare, nel libro dell’Esodo Miryam è chiamata
«la profetessa» (Es 15,20). Prendendo lo spunto da questo
passo, il folklore delle tradizioni giudaiche ha dato vita a una
serie di racconti che ne illustrano il carisma profetico. Essi
traggono motivo dalle circostanze in cui nacque Mosè, il
primo messia-salvatore di Israele. Per ispirazione divina – si
crede – Miryam ebbe un compito speciale nell’annunziare la
nascita e la missione del fratello. Poi, quando la gelosia omicida del Faraone costrinse i genitori ad abbandonare sulle
acque del Nilo il loro neonato di appena tre mesi (Es 1,15-
2,3), Miryam continuò a credere negli oracoli ricevuti dal
Signore circa la futura grandezza di lui. Questo ciclo di racconti sembra aver esercitato un influsso sul modo col quale
gli evangelisti presentano la fede delle donne di Galilea e di
Maria stessa, la madre di Gesù, di fronte al mistero della
passione, morte e risurrezione del Signore.

 Miryam, la “profetessa”

In relazione alla nascita di Mosè, dicevo, il Signore avrebbe affidato a Miryam un ruolo profetico. Le narrazioni più
vivide e dettagliate al riguardo si trovano nello pseudo Filone,
nella Mekiltà di R. (Rabbi) Ismaele e nel talmud babilonese.
Esse mirano a descrivere con tinte vivaci le reazioni degli
ebrei, dopo che il Faraone decretò di sterminare i loro nascituri maschi.
a. Lo pseudo Filone (autore anonimo del I secolo d.C.,
che compose il “Libro delle Antichità bibliche”), descrive così
i fatti. Gli anziani del popolo suggerirono ai mariti di non aver
più rapporti con le loro donne (Antichità bibliche 9,2). Avrebbero così posto fine alla strage ordinata dal Faraone, il quale
aveva decretato di sopprimere ogni neonato ebreo di sesso
maschile, gettandolo nel Nilo (Es 1,15-2,3). Amram (il padre
del futuro Mosè), pieno di fede nel Dio che non smentisce le
promesse fatte ad Abramo, si dichiarò nettamente contrario a

quell’avviso, per cui decise di unirsi a sua moglie Yochebed,
esortando tutti a fare la stessa cosa (Antichità bibliche 9,3-6).
La proposta di Amram, che incontrò l’assenso generale (9,9),
piacque al cospetto del Signore, il quale disse: « ... Ecco: quello che nascerà da lui mi servirà in eterno, e per suo mezzo farò
cose meravigliose nella casa di Giacobbe ... » (9,7-8). Lo spirito del Signore venne su Miryam di notte, ed ella ebbe un
sogno che raccontò ai genitori al mattino:
«Ho avuto una visione questa notte. Un uomo, rivestito di
lino, stava in piedi e mi ha detto: “Va e dì ai tuoi genitori:
Ecco, colui che nascerà da voi sarà gettato nell’acqua, poiché per mezzo suo l’acqua sarà seccata. Mi servirò di lui per
compiere segni, salverò il mio popolo ed egli lo guiderà per
sempre”».
Miryam raccontò il sogno ai suoi genitori (9,10).
(PSEUDO-PHILON, Les Antiquités Bibliques. T.I, introduction et
texte critique par D.J. Harrington, traduction par J.Cazeaux revue par C.
Perrot et P.-M. Bogaert. Les Éditions du Cerf, Paris 1976 (Sources Chré-
tiennes 229, pp. 106-113)

b. La Mekiltà di R. Ismaele (un celebre commento al
libro dell’Esodo, che incorpora sovente antichi midrashim di
origine anche precristiana) immagina che Miryam rivolgesse
a suo padre un presagio del seguente tenore:
«Alla fine tu sarai genitore di un figlio che sorgerà e salverà
Israele dalle mani degli Egiziani».
(Mekiltà di R. Ismaele, trattato Shirata, cap. 10 a Es 15,20. Cf.
LAUTERBACH J.Z., Mekilta de-Rabbi Ishmael. Vol. II. The Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1933 (ristampa del 1976), pp. 81-82.)
c. Il talmud babilonese offre due tipi di rappresentazione dei fatti.
Una prima versione, ascritta a un tannaita anonimo (quindi dei secoli I-II d.C.),
(Talmud Babilonese,  Sothah 12a. Diversi elementi aggiuntivi della
stessa narrazione di questo Talmud, si trovano qua e là in altre fonti. Cf.
SERRA A., E c’era la Madre di Gesù ... (Gv 2,1). Saggi di esegesi biblico-

mariana (1978-1988). Edizioni Cens-Marianum, [Milano-Roma 1989],
pp. 434-435, note 60-71.)

afferma che Amram era la persona più

ragguardevole della sua generazione. Venuto a conoscenza
del decreto del Faraone (Es 1,22), disse: «Noi ci affatichiamo invano».
(Es Rabbah 1,13 a 1,15; Qo Rabbah 9.17.1.)
Allora si separò dalla moglie,
(Targum gerosolimitano I, Es 2,1 e Num 11,26; Es Rabbah 1,13 a
1,15; Num Rabbah 13,20 a 7,43.)
e – dietro il suo
esempio – tutti gli Israeliti divorziarono dalle loro consorti.
(Es Rabbah 1,13 a 1,15 (cf. 1,36 a 2,25 e Talmud Babilonese Yoma
74b); Pesiktà Rabbati, piskà 43, n. 4. Con questo provvedimento, che
metteva fine alla procreazione, essi non avrebbero offerto materia alla
carneficina dei neonati maschi, voluta dal Faraone.)
Miryam, sua figlia, disse a lui:
«Padre, il tuo decreto è più severo di quello del Faraone;
questi, infatti, ha legiferato soltanto contro i maschi, mentre
tu hai emesso un ordine che va contro sia i maschi che le
femmine. Il decreto del Faraone ha attinenza solo con questo mondo; il tuo, invece, riguarda quello presente e quello futuro. (Vale a dire: i bimbi annegati sarebbero sopravvissuti nell’aldilà;
invece, non procreando più, si negherebbe la vita a nuove creature sia in
questo mondo che nell’altro)
Il Faraone, poi, è un empio, e non è certo che la
sua volontà sia eseguita o meno; ma tu sei un giusto, e la tua
ordinanza verrà sicuramente messa in atto,
(Es Rabbah 1,13 a 1,15; Pesiktà Rabbati, piskà 43, n. 4)
come sta scritto: “Deciderai una cosa e ti riuscirà”» (Gb 22,28).
A queste parole, (Targum gerosolimitano I, Es 2,1; Talmud Babilonese, Baba Bathra
120a; Esodo Rabbah 1,13 a 1,15; 1,20 a 2,2; Num Rabbah 13,20 a 7,43;
Pesiktà Rabbati, piskà 43, n. 4.)
Amram riprese sua moglie, e così fecero tutti gli altri Israeliti.
(Es Rabbah 1,13 a 1,15.)
Una seconda versione dei fatti, riferita da parte di R.
Amram (260 ca.) a nome di Rab († 217), o (secondo altri) da
parte di R. Nachman b. Ya’kob († 320), è tramandata nei
termini seguenti. Miryam profetizzò:









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